Pregare il Vangelo della I domenica di Pasqua

 


Siamo nell’ultimo capitolo del vangelo scritto da S. Giovanni, dove ci viene raccontata la testimonianza della risurrezione di Gesù da parte di Maria di Magdala, dello stesso Giovanni e degli altri discepoli, tra i quali Tommaso. Leggendo e meditando queste testimonianze, ci accorgiamo di come gli avvenimenti narrati non siano semplici apparizioni di Gesù, ma veri e propri incontri: è Gesù risorto e vivente per sempre che si fa incontro all’uomo e la sua presenza produce gioia, pace, genera vita nuova. Quando gli evangelisti raccontano un avvenimento, si preoccupano di riportare quegli aspetti dell’esperienza che possiamo fare anche noi che leggiamo il Vangelo, oggi, più di duemila anni dopo i fatti raccontati.  

Il brano che ci viene proposto in questa domenica ci invita alla contemplazione.

Gesù viene in mezzo ai discepoli e mostra le sue ferite, i segni della sua passione. È la contemplazione delle sue mani forate e del suo fianco trafitto che ci fa capire chi è il Signore per noi. È colui che per amore degli uomini – non degli uomini in generale, ma di ciascun uomo, per amore mio – porta nel suo corpo, anche ora che è un corpo glorioso, quelle ferite. Quell’amore che tutto il Vangelo ha cercato di raccontare attraverso le parole e le opere di Gesù, trova il segno più alto in quelle ferite. Contemplandole, comprendiamo di essere oggetto di questo amore infinito. Un amore che non si lascia fermare dalle porte sprangate ma che, al contrario, ci incontra là dove siamo sepolti nelle nostre paure, nel nostro peccato, nelle nostre chiusure. Un amore che non si arresta di fronte ai nostri dubbi, alla nostra fatica di credere, ma si ripropone. Ognuno di noi è amato così, e allora come Tommaso ciascuno di noi può dire: «Mio Signore e mio Dio!», pronunciando quell’aggettivo – mio – che viene dal Cantico dei Cantici («Il mio amato è per me e io per lui»), perché è la certezza di questo amore che mi fa risorgere, mi fa vivere davvero.

Dalla contemplazione di questo amore scaturiscono la gioia e la pace. Possiamo uscire dal nostro buio, dalla mancanza di senso e di speranza che ci fa chiudere alla vita. Questa pace e questa gioia profonda generano la missione: da esse nasce l’amore che ci manda verso gli altri, per vivere come il Signore ha vissuto nei nostri confronti.

“Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre” (Sal 117).
 

Sr Sara della Trinità

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